Dopo la presentazione ufficiale del suo nuovo disco Redivivo sul palco dell’Hiroshima Mon Amour di Torino, Cajo continua a far parlare di sé. L’evento ha segnato un momento chiave nel percorso dell’artista: un live intenso, diretto e senza filtri, che ha restituito al pubblico tutta la carica emotiva e la complessità del progetto. Redivivo è un disco personale e crudo, che scava nel profondo ma non rinuncia a sperimentare – tanto nei suoni quanto nei contenuti.
Ora, a trainare il viaggio del disco nelle radio italiane, arriva „+TTOSTOKE?!“ (Piuttosto che), da oggi in rotazione. Un brano che già ha catturato l’attenzione di Radio Deejay, andato in onda due volte e definito con entusiasmo “molto chic” dai loro creators. E in effetti, di chic questo pezzo ha parecchio – ma nel senso più pop, trasversale e tagliente del termine.
Con un mix fresco e contagioso di sonorità dance, rap e pop, „+TTOSTOKE?!“ si presenta come una vera e propria linguaccia alla lingua italiana contemporanea. Cajo mette alla berlina la tendenza – ormai dilagante – a storpiare, abbreviare, anglicizzare e rendere irriconoscibile la nostra lingua madre. Il tutto con la leggerezza di una hit da ballare, ma l’intelligenza di chi sa bene dove vuole arrivare.
“Italiano io ti amo, ma come lo parliamo lo torturiamo. Dai ti prego non torturarlo più” dice ironicamente in uno dei versi più emblematici del brano. E così, dietro il ritmo scatenato e l’apparente nonsense, si nasconde una riflessione tutt’altro che banale: che fine ha fatto la lingua italiana? Cosa resta quando tutto viene compresso in una storia, in un post, in un emoji?
Tra doppi sensi, slang e citazioni tra il meme e il manuale scolastico, Cajo costruisce un piccolo manifesto pop-linguistico, che fa ridere, riflettere, e soprattutto muovere la testa – in ogni senso. Non c’è giudizio, solo uno sguardo lucido e scanzonato sul linguaggio che ci circonda ogni giorno, e su come ci rappresenta, nel bene e nel ridicolo.
Con „+TTOSTOKE?!“ Cajo si conferma una delle voci più originali del panorama urban italiano: capace di alternare profondità e leggerezza, racconto e provocazione, sempre con uno stile riconoscibile e fuori dagli schemi. E soprattutto, con quella vena ironica e intelligente che oggi manca come l’aria.